Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è stata molto attesa. II problema della non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana è un problema diffusissimo che riguarda quasi tutte le famiglie italiane, che ne sconvolge le dinamiche interne e per il quale spesso sono le donne ad essere costrette a lasciare il lavoro per prestare l'assistenza quotidiana e concreta agli anziani e alle persone non autosufficienti del nucleo familiare.
      Tale problema, oltre a sconvolgere la vita interna delle famiglie, determina un costo finanziario insopportabile: i dati statistici indicano che le famiglie che si trovano al di sotto della soglia di povertà sono, nella maggior parte dei casi, proprio quelle che devono sopportare il peso del costo e di un problema che non può essere considerato un fatto privato e che, inoltre, riguarda 1,5 milioni di anziani e 1,3 milioni di persone disabili al di sotto dei 65 anni di età e che comporta una stima dei costi assistenziali che si aggira attorno ai 12-13 miliardi di euro.
      Il nostro è un Paese che invecchia, e che invecchia male, anche perché la mentalità della prevenzione, nonostante l'istituzione del Servizio sanitario nazionale risalga al 1978, tarda a radicarsi non solo negli operatori sanitari e nell'organizzazione sanitaria, ma soprattutto tra noi cittadini: oggi, per ogni bambino, ci sono cinque nonni e una famiglia su cinque, in casa propria, ha il problema della non autosufficienza. Inoltre, l'Italia su questo versante sconta un grave ritardo, continua

 

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a non stare al passo con gli altri Paesi europei, Francia e Germania in primo luogo, che da anni hanno adottato misure efficaci per sostenere le persone con diversi gradi di disabilità. Nonostante le diverse mobilitazioni delle associazioni, delle organizzazioni sindacali dei pensionati, e nonostante diverse iniziative parlamentari, non esiste oggi nel nostro Paese alcuno strumento in grado di affrontare un tema così ampio e complesso.
      È un problema che non può essere affrontato soltanto con «prestazioni monetarie», bensì con una integrazione tra interventi economici e prestazioni professionali. Proprio la complessità delle domande e delle risposte sconsiglia il ricorso a un modello assicurativo. Tale modello, infatti, renderebbe praticamente impossibile l'integrazione tra prestazioni economiche, prestazioni sanitarie e prestazioni sociali.
      È questa la ragione per la quale molte associazioni, organizzazioni sindacali, rappresentanti di forze politiche, affermano che solo un servizio pubblico, articolato su più livelli istituzionali, aperto alla collaborazione con le organizzazioni dei cittadini, può rispondere al problema della non autosufficienza.
      La presente proposta di legge si prefigge di promuovere e di incrementare il sistema di prevenzione, contrasto e riabilitazione degli stati di non autosufficienza. In particolare, essa prevede l'istituzione di un Piano nazionale per la non autosufficienza, programma che dovrà accompagnare le famiglie dei disabili nel loro percorso garantendo la specificità e i requisiti delle prestazioni sociali, le priorità di intervento e le modalità di azione, nonché la definizione dei livelli essenziali di assistenza. La proposta di legge, inoltre, cerca di dare delle risposte concrete al problema ponendosi come obiettivo anche la mobilitazione del mondo politico al fine di fare riprendere l'iter legislativo avviato nella scorsa legislatura dalla Commissione Affari sociali della Camera dei deputati.
      Nel nostro Paese, a differenza degli altri Paesi europei che da tempo si sono dotati di una legge strutturale sulla non autosufficienza, viene erogato, in assenza di appositi servizi, solo un assegno di accompagnamento per i disabili al 100 per cento. Una mancanza di strutture di supporto, tutta italiana, che viene supplita dal lavoro delle assistenti familiari. Una soluzione, quest'ultima, che carica di costi altissimi le famiglie e favorisce l'espandersi del lavoro irregolare.
      Il precedente Governo di centrosinistra aveva varato riforme molto importanti, come il decreto legislativo n. 229 del 1999 («Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419») e la legge n. 328 del 2000 («Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»), con le quali ha garantito adeguate risorse finanziarie, assicurato il reddito minimo di inserimento e posto al centro dell'idea dei servizi alla persona proprio il tema dell'assistenza agli anziani e alle persone non autosufficienti. In tale ambito era stato stabilito che le risorse finanziarie dovessero essere reperite contestualmente all'analisi dei bisogni.
      Il Governo Berlusconi, invece, è andato in tutt'altra direzione, scegliendo una linea di contrapposizione rispetto alle esigenze del Paese, decidendo di far pagare il conto di una crisi economica, cui non è riuscito a contrapporre politiche efficaci di risanamento e di sviluppo, ai cittadini più in difficoltà e alle famiglie che già fronteggiano gravosi carichi assistenziali.
      Il Governo Berlusconi ha inoltre ostacolato la definizione e l'approvazione di una legge sulla non autosufficienza, da una parte non prevedendo alcun finanziamento nelle varie leggi finanziarie che ha predisposto e, dall'altra, contrastando lo sforzo compiuto dalla Commissione Affari sociali della Camera dei deputati, che nella XIV legislatura ha elaborato e discusso con le parti sociali confederali una proposta di testo unificato per la istituzione di un Fondo nazionale per la non autosufficienza, recependo i princìpi base delle proposte sostenute dai sindacati dei pensionati e dalle organizzazioni confederali (atto Camera n. 2166 e abbinati). Infatti,
 

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con successivi strumenti legislativi economico-finanziari, il Governo Berlusconi ha di fatto accantonato l'ipotesi della istituzione di un Fondo nazionale per la non autosufficienza, sulla quale si era realizzata un'inattesa convergenza tra maggioranza e opposizione in Commissione.
      Con le leggi finanziarie che si sono susseguite negli ultimi anni, il Governo Berlusconi ha decurtato sia il Fondo sanitario nazionale che il Fondo nazionale per le politiche sociali, trascinando inevitabilmente le famiglie italiane, i lavoratori e perfino il ceto medio verso nuove forme di povertà, indotte anche dall'aumento del costo dei ticket sanitari, dei servizi sociali e dei servizi sanitari.
      La legge finanziaria per il 2005, legge n. 311 del 2004, all'articolo 1, comma 349, introducendo il comma 4-bis dell'articolo 12 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, in materia di deduzioni per oneri di famiglia, si è limitata infatti a prevedere soltanto una deduzione dal reddito complessivo, fino ad un massimo di 1.820 euro, delle spese sostenute per gli addetti all'assistenza personale, le cosiddette «badanti», figure la cui attività è rivolta al sostegno e all'aiuto prestato a domicilio di persone anziane o disabili in situazione di non autosufficienza. La spesa totale prevista era di 80 milioni di euro per 215.000 destinatari a fronte dei circa 2.800.000 non autosufficienti. L'inadeguatezza economica del provvedimento è fin troppo evidente se si pensa ai costi annui necessari a garantire una assistenza e al numero attuale e crescente di persone non autosufficienti. Ma la citata legge finanziaria per il 2005 ha altri due importanti difetti: non prevede alcuna graduazione delle prestazioni rispetto alla gravità del bisogno e comporta significative difformità su base territoriale nell'applicazione dei criteri di accesso alle prestazioni.
      Il Governo Berlusconi, dunque, non ha impegnato neanche un euro per affrontare un problema che interessa oggi 2.800.000 nostri concittadini, numero destinato a crescere in misura proporzionale all'allungamento della vita media, accantonando di fatto l'ipotesi della istituzione di un Fondo nazionale per la non autosufficienza.

      In effetti, il ricorso a uno specifico Fondo per la non autosufficienza appare di gran lunga preferibile per una serie di ragioni, prima fra tutte quella che il semplice accorpamento sotto un'unica posta di bilancio di tutte le risorse oggi destinate all'assistenza delle persone non autosufficienti garantirebbe una maggiore trasparenza complessiva nell'uso delle risorse pubbliche. Nell'ambito del Fondo si potrebbe poi effettuare una graduazione delle prestazioni rispetto alla gravità del bisogno. II Fondo dovrebbe adottare un orizzonte temporale di programmazione più lungo di quello associato a politiche finanziate anno per anno sotto i vincoli dell'andamento congiunturale: infatti, poiché il progressivo aggravamento dei bisogni è in larga misura riconducibile all'invecchiamento della popolazione, è necessario che i problemi di equilibrio finanziario dei diversi programmi siano affrontati con un orizzonte temporale medio-lungo dedicando anche attenzione al problema della sostenibilità e dell'equità tra le diverse generazioni.
      Tornando allo sfortunato iter parlamentare della scorsa legislatura del citato testo unificato, la Commissione Affari sociali lo ha approvato, su proposta dei deputati del centrosinistra; il testo si è però arenato presso la Commissione Bilancio.
      L'intenzione del Governo era quella, come hanno più volte annunciato i Ministri dell'economia e delle finanze e della salute, di introdurre il modello assicurativo, cosa che significherebbe escludere dalla cura e dall'assistenza le fasce sociali più deboli. La non autosufficienza, d'altra parte, richiederebbe l'integrazione tra diverse competenze professionali, tecnologiche e finanziarie che nessuna assicurazione o mutua privata può garantire. Ciò che è accaduto dunque è assai chiaro: si sono ridotti drasticamente i fondi per le politiche sociali trasferendo peso e responsabilità delle scelte sugli enti locali e producendo così una crisi irreversibile dei bilanci delle regioni e dei comuni, determinando
 

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così profonde disuguaglianze territoriali e creando le condizioni di una rottura del patto di coesione sociale. Tutto ciò con un obiettivo predeterminato: accelerare la crisi del welfare pubblico per sostituirlo con nuove forme assicurative e di privatizzazione dei servizi.
      La parola d'ordine del Governo Berlusconi è dunque stata quella di dare seguito al progressivo ritiro dello Stato dai servizi di carattere sociale, intenzione peraltro espressa già nel Libro bianco del welfare, per privatizzare il mercato delle prestazioni e dei servizi sociali e creare un welfare a due velocità: uno per i poveri; l'altro per chi ha le possibilità economiche di rivolgersi ai privati attraverso forme assicurative o direttamente con i propri mezzi. Non a caso il privato con fini di lucro rivolge sempre più attenzione al mercato dei servizi sociali.
      La dinamica demografica, invece, e la crescita positiva delle prospettive di vita degli anziani segnalano la necessità di una iniziativa diffusa e coerente del Parlamento per il consolidamento e lo sviluppo del welfare e della rete dei servizi pubblici in favore della non autosufficienza.
      La CGIL, la CISL e la UIL, all'epoca dell'approvazione del testo unificato sul Fondo nazionale per la non autosufficienza, sia in occasione delle audizioni promosse dalla Commissione sia nel corso di iniziative pubbliche, hanno già avuto modo di esprimere l'apprezzamento per lo sforzo congiunto delle forze di opposizione e di maggioranza nell'elaborazione del testo bipartisan, nonché le loro osservazioni di merito al testo unificato.
      Con la presente proposta di legge si vuole ribadire che la istituzione di un Fondo nazionale per la non autosufficienza è l'unica efficace risposta ai bisogni di 2.800.000 (1.970.000 ultrasessantacinquenni) persone totalmente o parzialmente inabili e delle loro famiglie che, nella maggior parte dei casi, affrontano da sole situazioni pesanti dal punto di vista economico, dello sforzo fisico e psicologico.
      Tra i princìpi che ispirano la proposta di legge vi è quello che il Fondo deve avere un carattere universalistico e che il finanziamento va coperto dalla fiscalità generale, escludendo forme assicurative selettive e costose non in grado, quindi, di coprire le esigenze delle persone inabili e di un crescente numero di persone che fortunatamente vedono crescere le aspettative di allungamento della vita.
      L'approvazione della presente proposta di legge sarebbe inoltre auspicabile poiché darebbe impulso alla programmazione e alla gestione dell'integrazione dei servizi socio-sanitari nei territori in applicazione di uno dei cardini della citata legge n. 328 del 2000, in quanto la valutazione del grado di non autosufficienza, la definizione, la gestione e la responsabilità dell'intervento personalizzato richiederebbero necessariamente una forte interazione di professionalità sanitarie con quelle del settore sociale e dei servizi.
      Inoltre, consideriamo importante che vi sia un Fondo nazionale che assicuri un servizio base in tutto il Paese al fine di contenere le differenze dei servizi forniti tra diversi territori, in particolare tra nord e sud, ma che lasci contemporaneamente alle singole realtà regionali la possibilità di decidere interventi aggiuntivi.
 

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